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SAME ORIGIN
A cura di
Antonello Tolve «(∂ + m) = 0» Paul Adrien Maurice Dirac
Dopo una mostra dal chiaro riferimento aristotelico – Caro Capax Dei (Galleria Il Museo del Louvre, Roma 2012) – in cui l'artista elabora «un allenamento fisico, per sottrarsi ai sofismi, al dualismo corpo-anima, alle gabbie di un ipertrofia razionalista e materialista che segna il nostro tempo» , e dopo un progetto – Collage | Azoto: Scala N.6 (Marcantoni Arte Contemporanea, Pedaso 2013) – dedicato ad una dimensione «transemiotica» , Montini spinge lo sguardo su un paesaggio artistico di natura bipolare. Su un discorso che elogia il fenomeno dell'entanglement quantistico (o della relazione quantistica) messo in campo dal fisico inglese Paul A. M. Dirac secondo cui se due sistemi interagiscono tra loro loro per un certo periodo di tempo e poi vengono separati, non possiamo più descriverli come due sistemi distinti, ma in qualche modo sottile diventano un unico sistema. Quello che accade a uno di loro continua ad influenzare l’altro, anche se distanti chilometri o anni luce . Facendo propria questa legge d'attrazione tra forze differenti che postula l'unione del tutto e pone al centro dell'attenzione la conformazione di una fisica emozionale, Benedetta Montini propone difatti un viaggio bilineare che, se da una parte tende a ridefinire ancora una volta il corpo attraverso l'apparenza degli opposti, dall'altra trasforma il singolare in una duplicità estetica, in una pluralità che mostra un'insolita unità, uno stesso volto, una stessa origine. Con Same Origin l'artista aziona ora un nuovo processo la cui artisticità converte il freddo della fisica quantistica in qualcosa di caldo e di romantico, in una visione antroposferica, in un progetto che «liberare il pensare dai suoi stessi presupposti dicotomici» . Il caldo ritaglio di una città accostato ad un monte di venere celato sotto il nido di un passer italiae, il frammento sabbioso di una metropoli unito alla scena fotodinamica (volutamente fotodinamicizzata) di un matrimonio in cui non si riconoscono intenzionalmente i volti degli sposi. E poi, ancora, una scalinata familiare appaiata a una donna in punizione scolastica (e con cappello d'asino) o una parete proposta con due interventi diversi che evidenziano la necessaria e costante metamorfosi delle cose. Sono alcuni dei dittici proposti da Montini con Same Origin – alcune delle dieci relazioni, delle dieci comunioni e interazioni – con lo scopo di mostrare pensieri intimi, la cui intimità è determinata da una estroflessione performativa (Montini è sottile photoperformer) che trasforma l'artista in medium privilegiato del racconto, in brandello da cui partire per avvertire le linee di un intreccio, di una narrazione visiva che rimanda – come la poesia – inevitabilmente al mittente. Come in una sala autoptica, Montini setaccia ora la quotidianità per costruire controimmagini analitiche della storia (delle storie semplici) e del proprio bagaglio esperienziale che condensa via via in un circuito (in un piacevole cortocircuito?) plurimo, in una strategia di pensiero multidirezionale, in un movimento perpetuo e in un binario linguistico che unisce modelli diversi per connettere (su vari piani) teorie, dati, problemi, significati nascosti del reale e di un presente che è nostalgia, visione lirica del futuro. |
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